Eolico industriale in Mugello e Valtiberina:
una sfida alla geologia dell’Appennino Toscano
ed Emiliano-Romagnolo

Una recente relazione redatta da Giovan Battista Vai, professore emerito di Geologia nell’Università Alma Mater di Bologna, nonché direttore del Museo Geologico dello stesso Ateneo, corredata di mappe e analisi dettagliate, certifica con assoluta sicurezza che i crinali proposti per impianti eolici di grande taglia in Mugello (Comuni di Vicchio e Dicomano) e in Val Tiberina (Comuni di Badia Tedalda, Sestino e Pieve Santo Stefano) non sono idonei ad accoglierli, a causa dell’estrema fragilità idrogeologica (oltre che dell’alta pericolosità sismica) di quei territori, e più in generale dell’Appennino Settentrionale: e ciò per la loro naturale conformazione morfologica ed origine geologica, con i rischi accelerati dalle conseguenze relative al cambiamento climatico con le ‘bombe d’acqua’.

Al di là dei danni certi all’ambiente, al paesaggio agricolo-forestale e alla biodiversità – con consumo di suolo, distruzione di vegetazione boschiva e di coltivazioni agricole, strage di fauna avicola anche rara, danni pure d’immagine alle vicine aree naturali protette e ai circostanti insediamenti storici, nonché al turismo lento che è solito soggiornare o percorrere tali aree –, occorre considerare che l’installazione di torri in cemento e acciaio alte fino a 170-200 metri (rotore compreso) e pesanti ciascuna qualche centinaio di tonnellate comporterà, inevitabilmente: i rilevanti sbancamenti ed escavazioni (necessari al loro inserimento in aree da ridurre a piazzole artificiali); l’edificazione di strade necessarie ad accogliere autotreni di grandissima dimensione trasportanti torri e pale (spesso con distruzione di percorsi storici felicemente inseriti negli itinerari del turismo escursionistico); e la costruzione di lunghi elettrodotti sottoterra per il trasporto dell’energia a cabine (anch’esse di regola da edificare). Queste opere, una volta inserite in ambienti già di per sé stessi fragili, finirebbero sicuramente per aggravarne le precarie condizioni di stabilità.

 

Con riferimento non solo alla montagna tra Valmarecchia e Valtiberina, ma all’intero Appennino Tosco-Emiliano e Romagnolo, Giovan Battista Vai raccomanda di ben ponderare i:

maggiori fattori di rischio, già evidenziati in passato, quelli geologici, che minano alla base i progetti eolici in Appennino Settentrionale e che ne hanno finora impedito l’autorizzazione. Si dirà che i cambiamenti climatici impongono un’ulteriore espansione anche deII’eoIico in Italia. Ebbene, è proprio in tale quadro che, se si vuole essere coerenti con la realtà, occorre considerare che l’espansione deII’eoIico neII’ItaIia collinare e montana, in particolare neII’Appennino Settentrionale, è insostenibile essendo fonte di un nuovo rischio di dissesto idrogeologico in un territorio già di per sé altamente instabile. È necessario intervenire nella programmazione dell’uso del territorio, nella prevenzione dei grandi rischi geologici considerando le sollecitazioni critiche di esperti scientifici e professionali per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e prevenire quindi situazioni di disastro alluvionale come quello di Maggio 2023” e l’altro del novembre scorso.

Le stesse ditte proponenti presentano i loro progetti con aerogeneratori di enormi proporzioni, con vaste aree di fondazione che andrebbero ad insistere su un territorio tra i più franosi d’Italia (per grandi frane a piani di distacco profondi) e i più inadatti a ospitare infrastrutture, soprattutto quelle di grande peso e dimensioni, che necessitano di fondazioni profonde che, a loro volta, vanno a riattivare i suddetti piani di scivolamento e distacco. In un tale contesto gli impianti eolici di grande taglia costituirebbero enormi pericoli per via dei loro interventi (fondazioni e inviluppo di viabilità di cantiere per trasporti di dimensioni eccezionali). In aree costellate di frane attive e quiescenti, si assisterebbe all’avvio di un nuovo ciclo di erosione e trasporto del suolo agrario che dall’area di inviluppo dell’intervento si estenderebbe a macchia d’olio a tutti i versanti circostanti, con ingenti danni aggiuntivi.

Non sarà certo l’insediamento di “parchi“ eolici e fotovoltaici a riequilibrare la montagna, con tutto il Ioro indotto fatto di ruspe che andrebbero a sconquassare i territori e di trasporti eccezionali che andrebbero a demolire strade e pendici tracciando antichi drenaggi a favore del dissesto. […] Bisogna quindi prendere coscienza che questo nostro territorio montano ha dei vincoli di stabilità e pone dei limiti di un equilibrio sempre instabile che va ricercato con sagacia e mai superato, come per contro avverrebbe se tali impianti fossero autorizzati e quindi realizzati. Se in pianura le casse di espansione possono essere strumenti utili a mitigare gli impatti delle alluvioni, in questa collina e montagna ogni intervento va studiato con cura e inserito in un preciso programma per evitare danni incalcolabili. […] I numeri, le carte, le foto dopo le alluvioni di Maggio e Novembre 2023 dovrebbero far capire a chiunque che l’Appennino Settentrionale ha dei limiti naturali oggettivi a ogni tipo di insediamento e utilizzo moderno diffuso e pervasivo, che voglia essere sostenibile economicamente e socialmente. La ricerca di un equilibrio che cerchi di prescindere dalla sua propensione al dissesto ha come destino ineluttabile il disastro”.

Queste autorevoli, illuminanti considerazioni riguardanti l’Appennino esteso fra i bacini dell’Arno e del Tevere vengono confermate e rafforzate dalle attente perizie e relazioni geologiche di Marco Bastogi e Guglielmo Braccesi, specificamente dedicate, nel corso dell’anno 2023, all’area del progetto di impianto eolico Monte Giogo di Villore (con riguardo per la zona di Corella e del metanodotto): un’area quasi ovunque “altamente fragile”, come sottolinea la costante presenza del Vincolo Idrogeologico, che, per altro, i documenti del Piano di Assetto Idrogeologico/PAI classificano come costituita, per lo più, da terreni “a pericolosità molto elevata” o “elevata”, e minoritariamente “a pericolosità bassa”; tutte zone comunque caratterizzate da un’alta densità di frane (frane attive e quiescenti), comunque “con potenziale instabilità connessa alla giacitura, all’acclività, alla litologia”.

Condizioni critiche, preoccupanti, che richiedono da parte sia della classe politica e sia della burocrazia tecnica toscana, d’ora in poi, una più accorta presa d’atto della situazione reale dei luoghi e del tempo che stiamo attraversando, con comportamenti coerentemente motivati e responsabili: a vantaggio dell’interesse generale dei territori coinvolti, e quindi dell’intero nostro Paese (così diverso dall’Europa centro-occidentale per gioventù geologica, per altitudini e per pendenze, quale terra “sviluppata sulla verticale” a ridosso del Mediterraneo, come scriveva Fernand Braudel); e senza farsi ingannare dai refrains e dalle vane declamazioni riguardanti la lotta alla C02, in un mondo sempre più schiacciato dagli interessi e dagli extraprofitti delle grandi imprese dell’energia, abilitate a sfruttare con uguale cinismo le fonti fossili e quelle rinnovabili.

 

Coordinamento associazioni e comitati contrari all’impianto eolico Monte Giogo di Villore e Corella

Comunicato stampa comparso su IlFilo.net

Articolo per approfondimento: di Paolo Chiappe in perUnaltracittà

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